“Communautés”come titola
la mostra di Bourouissa volge la propria attenzione ai margini, alle periferie
urbane, alle comunità viste nel loro risvolto liminale rispetto all’epicentro
del potere, là dove le minoranze non rappresentate risiedono, coloro che
solitamente restano invisibili, non visti o senza voce nella società
contemporanea. Tale diviene il fulcro di interesse del lavoro di Mohamed
Bourouissa artista di origine algerina,
cresciuto in Francia,stabilito a Parigi, esposto attualmente al Mast di Bologna
fino alla fine di settembre. La
retrospettiva ripercorre un ventennio della sua carriera accostando video, fotografia, scultura, collage e stampa
in 3D in tre grandi progetti portati
avanti nel corso degli anni e il più recente, inedito “Hands” esposto a Bologna
per la prima volta al pubblico. Imprescindibile resta per l’artista
franco-algerino, al di là del linguaggio scelto, fotografico, scultoreo o
performativo, una riflessione critica sulla società contemporanea toccando temi
fondamentali come le città, le migrazioni di massa, il conflitto tra società e
individuo nei singoli rapporti di potere, infine la rappresentazione o
auto-rappresentazione di sé. Non si
tratta di una fotografia documentaria_ la pura e semplice documentazione
oggettiva di realtà_ ma di una “messa in scena fotografica”, di una finzione
costruita attraverso il coinvolgimento attivo dei soggetti rappresentati
nell’ottica “partecipativa” di qualcosa che si realizza o si rende visibile come
accadimento di fronte ai nostri occhi. I soggetti non sono solo passivamente colti
dal fotografo ma divengono attori di dinamiche sociali esposte o involontariamente
svelate: le tensioni nelle banlieues parigine, la parata di “cow boys” neri a
Filadelfia per “Horse day”, infine auto-ritratti che simulano selfie di giovani
francesi delle nuove generazioni .
HORSE
DAY ( 2013-19)
Il “Fletcher street Urban riding club” è una scuderia sociale fondata nel 2024 a Filadelfia dalla comunità afroamericana locale per prendersi cura dei cavalli, coltivare la passione dell’equitazione e offrire ai giovani neri un’alternativa alla strada legittimando così il loro operato. “Horse day” esposto nelle prime sale del Mast nasce come l’esito di una competizione-performance equestre nel corso di una giornata speciale nel 2014: una parata di cow boys con costumi e bardature dei cavalli realizzati per l’occasione cui sono seguiti un film documentario e una serie di sculture in 3D. Nella prima sala del Mast locandine multicolore dell’evento tappezzano le pareti del museo come all’epoca ricoprivano quelle della città accompagnate dalle musiche originali composte per la parata e da alcuni sfarzosi costumi argentei e luccicanti creati per i cavalli. Collage e particolari sculture digitali invadono lo spazio espositivo di “Horse day”: si tratta di stampe fotografiche dei partecipanti o di momenti salienti della giornata su pezzi di carrozzerie d’auto evocando ancora una volta la combinazione tra tecnologia e l’industria nella società attuale. Su un’altra immensa parete un montaggio colorato di una serie di schizzi, disegni preparatori, foto o altri piccoli collage documentano le fasi intermedie simile a un diario di bordo con i passaggi che hanno condotto al montaggio sull’acciaio in ampia scala.
“Unicorn” sovrappone fotografie dai colori beige e ocra su una
lastra argentea, volutamente “spiegazzata”, soggetta a una sfocatura
intenzionale dove i bordi si confondono mentre
un destriero bianco e bardato è condotto
da un cow boy nero che chiaramente sovverte lo stereotipo della tradizione proveniente
dal vecchio west americano per riappropriarla, stropicciarla appunto come un
foglio usato e riutilizzato in maniera differente sulla superficie scintillante
delle immagini.
“Ride Day 2” ( 2019)
E’ un affresco post-moderno apocalittico e industriale fatto di parti di carrozzeria in acciaio, pittura per auto, vernice spray e stampe digitali sulle medesime. “Ride Day”occupa tutta la parete della galleria estendendosi nel suo montaggio idiosincratico, fatto di pezzi d’auto di recupero, foto stampate e altri frammenti: i nuovi cow boys afroamericani si intravvedono tra le linee insieme alle bardature dei cavalli e le scintille d’argento che a pezzi disparati si ricompongono nel collage di Bourouissa. Allo stesso modo “Windows” sono finestre aperte sulla vita della comunità nera, individui del tutto sconosciuti e ignorati dalla maggior parte i cui ritratti meravigliosamente umani si rivelano come in un negativo fotografico su vecchie portiere d’auto quasi si trattasse di un’immagine rubata da uno specchietto retrovisore. Là, in primissimo piano, uno spaccato di vite, sguardi svelati nel contrasto del bianco e del nero. Infine, prepotentemente presente al centro della sala compare “The phone ” scultura prodotta da una stampa in 3D in resina e fibra di vetro: una presenza oscura, minacciante nella posa in una ulteriore rivisitazione dello stereotipo bianco dello yankee americano.
PERIPHERIQUE
“Peripherique”_ tale il nome della tangenziale
parigina che separa la città dai quartieri
periferici limitrofi _ appare come una serie “aperta” che il
fotografo ha continuato a rielaborare con nuove immagini come l“Alyssia” e
“Dinosaure” rilanciando l’attualità del progetto. Si tratta di volti, ritratti,
messe in scena fotografiche realizzate da Bourouissa per un progetto portato
avanti negli anni a partire dalla rivolta delle banlieues francesi nel 2005.
“Alyssia” (2022)
Questa giovane influencer
franco-algerina di “Peripherique”
sceglie di auto-determinarsi attraverso una precisa immagine di sé: giovane
libera, disinibita, senza veli sfatando gli stereotipi di rappresentazione
della donna nella cultura islamica.
Decide di attraversare quel confine sottile che rende non solo visibili
ma anche capaci di imprimere un segno, lasciare una traccia permanente sul
destino di coloro con cui si entra in contatto. Lei, giovane araba dall’impronta
occidentale sceglie di riappropriare la propria identità, corpo e vita, “blessed” come si autodefinisce nel
tatuaggio impresso a grandi caratteri sul suo braccio . Da sé stessa
legittimata decide di sfidare nella sua rivendicazione di libertà e potere al
femminile i cliché sulla cultura araba in occidente così come l’oppressione
patriarcale da essa perpetuata.
“La Republique” (2006)
Nelle periferie di Parigi,
in quella zona ibrida ai bordi esterni del centro del potere delle elite lo
scontro tra giovani di una gang è messa
in scena da Bouruissa evocando le rivolte nelle banlieue avvenute nel 2005. Il titolo dell’immagine
“Republique” dove in primo piano i giovani rivoltosi sventolano una bandiera
della repubblica francese evoca, citando implicitamente la celeberrima opera di
Delacroix , i nuovi esponenti di questo paese post-coloniale da generazioni
frutto di migrazioni, metissage, e contaminazioni tra le diverse culture, nello
specifico quella magrebina e quella francese dove ancora non sembra essersi
compiuta l’attesa e imprescindibile integrazione. L’immagine intende lasciare
spazio e a queste frange urbane di giovani francesi di discendenza araba che
chiedono voce, visibilità, un volto in una società che ancora li rende
invisibili o inesistenti.
“Dinosaure” (2022)
In uno scenario quasi
idillico che rimanda a una visione paesaggistica di ispirazione impressionista una
famiglia francese di origine araba è vista nello splendore del momento presente
sullo sfondo di un parco fiorito di alberi e cespugli verdi. Tra tradizione e
modernità il velo che ricopre il capo della madre proveniente dal mondo arabo
si oppone ai capelli lunghi e sciolti delle giovani figlie dai giubbotti di
pelle nera e le sneakers ai piedi simili a qualsiasi altra adolescente francese
della stessa età. La visione è irradiata di una luce di aspettativa e ottimismo verso un futuro di
coesistenza pacifica nel difficile
equilibrio tra occidente e islam in Europa, tra retaggi gerarchici o repressivi
del passato e nuova libertà individuale ancora da conquistarsi.
SHOPLIFTERS
La serie di fotografie
originariamente scattate dal proprietario di un negozio di Brooklyn con una semplice
polaroid mostrano in una messa a nudo diretta e frontale i volti di individui sorpresi a rubare nel supermercato, messi in
posa insieme alla refurtiva una volta colti dalla telecamera di sorveglianza. La
spaventosa banalità dei beni sottratti come biscotti, uova o birra insieme ai volti inermi degli indigenti colti dal sistema di sorveglianza svela, in realtà, dietro l’apparente banalità
del gesto la violenza e la miseria insite sotto la superficie della società
consumista americana. Ne emerge una criminalizzazione disumana della povertà fisica
e morale da parte di una società accusatrice e senza pietà. Uomini e donne della strada sono mostrati in
primissimo piano in una messa a nudo fredda, opaca e senza veli che sottolinea ancora
di più le contraddizioni ai margini dell’illusorio benessere e del vano spreco nel sistema capitalistico occidentale .
Immagini provenienti dal passato, in particolare dettagli di corpi, volti, mani o gesti ricompaiono ristampate sul plexiglass e poste sullo sfondo di una griglie metallica nell’inedita serie “Hands” presentata per la prima volta al Mast di Bologna. Si tratta di trasformare o riappropriare ancora una volta nell’ottica di Bouruissa quello che del passato non può sussistere in sé stesso come immutabile ma che invece è soggetto, come la vita stessa, al cambiamento e all’inevitabile trasformazione. L’artista citando Artaud oppone alla materia intesa come presenza viscerale dei corpi la griglia vista come luogo di oppressione e soffocamento dell’individuo. Vediamo nella serie esposti in primo piano profili di volti oscurati, poi mani che si divincolano e cercano movimento e libertà, infine volti cupi, schiacciati e oppressi dalla prigionia. Giungono a noi come grida di libertà, simili ad asserzioni autentiche e incontenibili dei corpi contro il soffocamento oppressivo della struttura tale la griglia del potere o della legge. Sullo sfondo i colori elettrici, ora violacei o rossicci, ora blu allucinanti e grigiastri. Perché Bouruissa in tutti i suoi lavori, dalla fotografia, alla scultura all’installazione nelle sue molteplici sperimentazioni, non smette mai di parlarci delle tensioni insite nella società contemporanea, dei rapporti di potere tra singolo e comunità, tra centro e periferie, infine di giovani generazioni alla ricerca di legittimità e nuove società dell’integrazione ancora da definirsi.